
NOVARA-31-03-2018- Si tornerà in aula il prossimo 10 aprile ma solo per l’affidamento dell’incarico ad un altro perito per la trascrizione delle intercettazioni telefoniche (alcune già trascritte), comunicazioni che si erano svolte tra i telefonisti che si trovavano in Polonia e gli “inviati” che materialmente andavano a ritirare le somme di denaro dalle vittime; comunicazioni che, nel processo scaturito dall’operazione chiamata in codice “Caro nipote”, costituiscono per l’accusa la “prova regina”. Di fatto il processo - in aula a Novara quattro persone, due uomini e due donne, che hanno scelto di essere giudicate con rito abbreviato, mentre per altri sei il processo si è già concluso anni fa con riti alternativi - è fermo, proprio sulla questione della traduzione e trascrizione di quelle intercettazioni, dal marzo del 2015 quando si aprì il dibattimento ma l’udienza era stata subito rinviata perché, su richiesta delle difese, il Tribunale aveva ritenuto necessario integrare la perizia con la trascrizione di altre intercettazioni e quindi conferire un supplemento di incarico. Da quel momento solo una serie di rinvii, prima per la rinuncia dell’interprete individuato dal perito, poi per l’assenza dell’altro interprete che di fatto non si è mai presentato in udienza; da qui la richiesta delle difese di revocare l’incarico ed affidarlo ad altri. Tutta la vicenda che vedeva quali vittime anziani che venivano contattati sa sedicenti nipoti che avanzavano richieste di denaro per far fronte ad imprevisti, era venuta a galla con il blitz dei carabinieri di Genova coordinati dalla Procura di Novara nel luglio del 2014 quando, a conclusione delle indagini. il gip aveva firmato 32 ordinanze di custodia cautelare. L’inchiesta era partita nel 2010 da Genova ma ben presto gli investigatori si erano resi conto che il giro era molto più vasto e portava direttamente in Polonia, dove era la ‘mente’ di tutta l’organizzazione. In un solo anno sono state denunciate mille truffe, “ma probabilmente sono almeno il doppio perché molte vittime, per vari motivi, preferiscono non rivolgersi alle forze dell’ordine” avevano affermato gli investigatori. Le vittime, tutti anziani, venivano contattate da un “telefonista” che si trovava in Polonia o in Germania attraverso una ricerca in internet con i nomi più desueti, solitamente riconducibili a persone più anziane; una volta stabilito il contatto arrivava la telefonata del “nipote” accompagnata dalla richiesta di denaro per concludere un affare, in genere l’acquisto di un’auto o di un immobile. Una richiesta urgente e pressante, “poche ore per concludere la trattativa” che altrimenti sarebbe sfumata, e il “falso parente in difficoltà” spingeva la vittima a dare il contante presente in casa, o in molti casi ad effettuare un prelievo bancario. Poi la consegna di quanto pattuito ad un intermediario, componente di quella che gli investigatori avevano definito “batteria operativa”.


