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NOVARA-31-01-2018- "Avevo visto su

un sito di vendite on line quell’annuncio relativo a una stufa. Il costo mi sembrava accettabile e così ho contattato il venditore". L’inizio di questa storia, passata questa mattina nelle aule del tribunale di Novara, è simile a tantissime altre che negli ultimi anni, da quando cioè si è consolidato lo shopping in rete, si sono susseguite, con le denunce prima con i processi poi. Il copione è sempre lo stesso: un annuncio di vendita in rete, il contatto con il venditore, l’accordo su prezzo e sulle modalità di pagamento, il versamento di quanto stabilito e poi….Poi l’attesa dell’arrivo dell’acquisto che in questi casi purtroppo non arriva più e la consapevolezza che i soldi, al pari dell’oggetto acquistato e del venditore, sono spariti nel nulla. A quel punto non resta che sporgere denuncia. Le indagini in questi casi non sono mai molto veloci; troppo complicate: si deve risalire all’inserzionista (che nel frattempo è sparito), alla PostePay sulla quale si sono accreditati i soldi, quasi sempre sparita anche lei; ma negli ultimi tempi, complici forse l’aumento delle denunce e la tecnologia nel frattempo più affinata, gli investigatori arrivano nel giro di qualche mese a dare un nome e un volto al truffatore. Nel caso approdato a Palazzo Fossati – vittima una novarese cinquantenne - la ricerca, e l’identificazione, è stata veloce anche perché il venditore si era presentato con le proprie “reali” generalità, punto questo sul quale il difensore ha incentrato l’arringa. “Nel corso della telefonata – ha raccontato in aula la donna – mi disse che quella stufa era nuova ma siccome l’aveva provata non poteva più venderla come tale e quindi la metteva in vendita al prezzo di 700 euro; in quell’occasione mi disse che aveva anche un condizionatore e visto che mi serviva, decisi di acquistare anche quello. In tutto quasi mille euro. Mi indicò gli estremi della PostePay, feci il versamento ma poi non ne ho saputo più nulla”. Il venditore, o sedicente tale, fu identificato ma esibì una denuncia da lui sporta perché aveva perso la carta; circostanza ritenuta poco credibile dal pubblico ministero che ha concluso con la richiesta di condanna a 9 mesi di reclusione. “Quel che di strano emerge in questa vicenda – ha sottolineato il difensore, avvocato Alessandro Brustia – è che il presunto truffatore (40enne all’epoca dei fatti) si è qualificato con il proprio nome e cognome; non è uno stinco di santo, ha precedenti ma non specifici, cosa alquanto strana per chi commette questo genere di reati. E c’è poi quella denuncia: perché non pensare che possa essere verosimile l’ipotesi dello smarrimento? Qualcuno potrebbe aver trovato, e utilizzato il suo nome e la sua carta, per mettere a segno la truffa”. Una tesi accolta dal giudice che dopo una breve camera di consiglio ha assolto l’imputato.

 
 
 
 
 
 
 
 
 

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