NOVARA -24-12-2017- "Per anni ho
sopportato quei suoi attacchi, le sue umiliazioni, le continue violenze psicologiche, poi, nel dicembre del 2012 gli ho detto che volevo andarmene di casa e a quel punto sono iniziate le minacce anche di morte. Ho resistito ancora perché lui piangeva, prometteva di cambiare ma poi tornava tutto come prima e alla fine non ce l’ho fatta più. Mi ero rivolta anche allo sportello anti violenza perché avevo paura di quello che avrebbe potuto succedere, poi sono andata ad abitare dai miei genitori". E da quel momento, stando a quanto ha raccontato la donna in aula, è iniziato l’incubo delle telefonate. “Anche trenta o quaranta al giorno, tutti i giorni. A volte rispondevo, anche perché abbiamo due figli e le comunicazioni avrebbero potuto riguardare anche loro ma poi lui cominciava a tornare sui soliti argomenti, voleva che tornassimo insieme; parlava, continuava a parlare, lunghi monologhi che duravano anche venti minuti. Alla fine ho dovuto cambiare anche il numero di telefono perché la situazioni era diventata insostenibile. E ho cominciato a trovarlo ovunque, fuori casa, davanti al posto di lavoro, davanti a scuola e anche in giro per il paese, improvvisamente me lo trovavo dietro, mi seguiva ovunque”. E a quel punto lei lo ha denunciato e lui è finito a processo per rispondere dell’accusa di stalking. Il loro rapporto non era mai stato tranquillo. “Ci siamo conosciuti che ero giovanissima, avevo poco più di quindici anni, ci siamo frequentati per un po’ di anni, poi abbiamo iniziato una convivenza e alla fine ci siamo sposati. Ma il nostro rapporto è sempre stato caratterizzato da alti e bassi, lui mi ha sempre umiliata. Non mancava occasione per rimproverarmi che non tenevo bene la casa, che non cucinavo in modo adeguato, che non ero una brava mamma; poi con il passare degli anni la situazione è peggiorata”. Fino agli atti persecutori, fino alle minacce. “Un giorno, quando io me n’ero già andata via da casa mi ha telefonato; voleva che ci incontrassimo perché doveva parlarmi di una questione inerente i nostri figli. Mi ha dato appuntamento vicino al cimitero. Abbiamo discusso e lui a un certo punto mi ha detto: “vedi, sei già nel posto giusto”; un’altra volta, sempre durante una discussione, lui mi ha preso il telefono e le chiavi della macchina e ha gettato tutto in mezzo alla strada, ho chiesto aiuto a dei passanti e lui prima ha minacciato me e poi anche loro”. Il processo, iniziato con la testimonianza della donna, che si è costituita parte civile, proseguirà a giugno.


