NOVARA -29-10-2017- Si è chiusa con
un’assoluzione la vicenda, per certi versi kafkiana, che aveva visto protagonista un novarese, all’epoca dei fatti sessantacinquenne, finito davanti a un giudice per rispondere dell’accusa di coltivazione di marijuana. L’uomo, assistito dall’avvocato Antonio Costa Barbè si era sempre difeso, sostenendo che stava facendo “sperimentazioni” per sottoporre, una volta che raggiunta la pensione si fosse trasferito nelle Marche, ad alcuni suoi amici agricoltori la possibilità di coltivare la canapa sativa destinata all’industria tessile; lo stesso pubblico ministero aveva chiesto l’assoluzione. Tesi, quella della difesa, accolta dal giudice che lo ha mandato assolto. Tutto era iniziato quando l’uomo, studioso di agricoltura biodinamica e appassionato di botanica, aveva piantato in alcuni vasi, in bella vista, sul balcone di casa, dei semi di canapa trovati nella busta del mangime del canarino. Semi che, convinto fossero di canapa sativa (quella a basso contenuto di principio attivo utilizzata in campo industriale), nonostante lui stesso fosse molto scettico, erano germogliati e in breve si erano trasformati in un rigoglioso “arredo verde”. Che non aveva mancato di attirare l’attenzione di un carabiniere che l’aveva immortalato con la macchina fotografica e poi aveva mostrato la foto ad un botanico suo amico. “Piante di marijuana” fu il responso dell’amico. E così era partita la denuncia. Un mattino di luglio di sei anni fa a casa del sessantacinquenne si erano presentati i carabinieri con un mandato di perquisizione; aveva spiegato tutto: i suoi studi, i suoi interessi, persino i contatti che aveva avuto con Assocanapa per cercare di documentarsi, anche sotto il profilo delle necessarie autorizzazioni, sul possibile utilizzo industriale dell’essenza “sativa” in modo da poter sottoporre poi un progetto dettagliato ai suoi amici agricoltori marchigiani. E i carabinieri avevano compreso le sue spiegazioni ma, visto che di perquisizione autorizzata da un magistrato si trattava, avevano messo in moto tutta la procedura, a partire dal sequestro di quelle trenta piantine, fino agli “adempimenti di rito” in caserma, e al carcere dove fu portato e dove rimase per due giorni e due notti. “La perizia non ha evidenziato il contenuto di principio attivo eventualmente contenuto in quelle piante - ha commentato il difensore all’esito della sentenza - In ogni caso la sentenza è assolutoria secondo la normativa recentemente introdotta dall’articolo 131 bis”, ovvero l’esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto.