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procura novaraNOVARA -08-10-17-Pensava che quei semi

fossero di cannabis sativa (la varietà a basso contenuto di principio attivo, ndr), li aveva trovati nel mangime del canarino e visto che stava facendo ricerche per l’utilizzo della canapa nel settore tessile, aveva provato a piantarli, più per curiosità che per convinzione. Certo, si era documentato e sapeva che occorre  un’autorizzazione, ma per coltivazioni intensive pensava, non certo per qualche decina di piante messe a dimora a scopo sperimentale. Saranno state le cure, saranno state le sue conoscenze botaniche, sta di fatto che quei semi, presumibilmente inerti da tempo, erano germogliati e in breve si era ritrovato con un “arredo verde” di tutto rispetto in bella mostra sul balcone, mentre lui, seguendone da vicino crescita e sviluppo, approfondiva lo studio delle procedure di ammollo e battitura degli steli per ricavarne le fibre e mostrarle agli amici agricoltori con l’intenzione di avviare un progetto di coltivazione. Una vicenda per certi versi kafkiana quella passata nelle aule di giustizia di Novara; protagonisti della storia un canarino (morto), la sua busta di mangime (nel quale, insieme a granaglie varie, erano contenuti non meglio specificati semi di canapa), un sessantacinquenne studioso di agricoltura biodinamica e appassionato di botanica in procinto di trasferirsi, con il raggiungimento della pensione, in terra marchigiana dove conosceva molti agricoltori che avrebbero potuto avere interesse a coltivare la canapa destinata all’industria tessile. Ma che ora si trova sul banco degli imputati chiamato a rispondere dell’accusa di coltivazione di marijuana. Non solo: oltre alla denuncia, anche il carcere dove, dopo l’arresto, era stato rinchiuso per due giorni e due notti. “Esperienza traumatica e debilitante”. Più che arrabbiato l’uomo, oggi settantenne, era sconcertato: quando quel mattino di luglio di sei anni fa erano arrivati i carabinieri a casa sua con un mandato di perquisizione, aveva intuito che il loro interesse potesse essere per quelle piantine, ma aveva spiegato tutto: i suoi studi, i suoi interessi, persino i contatti che aveva avuto con Assocanapa per cercare di documentarsi, anche sotto il profilo delle necessarie autorizzazioni, sul possibile utilizzo industriale dell’essenza “sativa” in modo da poter sottoporre poi un progetto dettagliato ai suoi amici agricoltori marchigiani. Anzi: visto che quella mattina stava lavorando al computer, aveva mostrato loro anche un filmato a scopo scientifico-divulgativo che aveva trovato in rete sui molteplici usi della canapa sativa, oggetto del suo interesse e ragione della ricerca sperimentale. Avevano compreso ma comunque, visto che di perquisizione si trattava, autorizzata da chi di competenza, avevano dovuto “procedere” sequestrando quelle trenta piantine che crescevano rigogliose sul balcone, peraltro senza alcuna protezione per impedirne l’eventuale vista (tanto che era stato proprio un carabiniere, incuriosito da quelle piante, a scattare una foto e sottoporla all’esame di un suo amico botanico che dopo una rapida occhiata aveva sentenziato senz’ombra di dubbio: “è marijuana”). Non si era scomposto lui, confidando nella sua totale buonafede e confortato dal fatto che le sue spiegazioni sembravano essere state esaustive, li aveva aiutati anche a portare giù i vasi e a caricarli in macchina. Poi erano partiti tutti alla volta della caserma. E l’iter previsto aveva preso il via: prima le foto segnaletiche, poi le impronte digitali, un rapido passaggio a casa per prendere un cambio e poi le porte del carcere di Novara che si aprono per accoglierlo. Quindi il processo. Argomentazioni quelle rese in aula dal pensionato che hanno convinto il pubblico ministero che ha concluso con la richiesta di assoluzione; per il difensore, avvocato Antonio Costa Barbé “manca del tutto una seria analisi delle piante rinvenute. Il teste del Lass si è limitato a dire di aver rinvenuto il principio attivo del Thc senza peraltro indicarne assolutamente la percentuale: circostanza questa dirimente perché, come si è visto, tale principio è presente in tutte le tipologie di canapa (quindi fondamentale per distinguere la marijuana dalla canapa industriale, ndr). Inoltre lo stesso teste  ha detto che si trattava di canapa indica ma non ha precisato i criteri in base ai quali è giunto a questa determinazione. A parere di questa difesa, non abbiamo neppure la certezza che si trattasse di piante vietate” ed ha concluso chiedendo l’assoluzione “perché il fatto non costituisce reato”. Sentenza a fine ottobre.

 
 
 
 
 
 
 
 
 

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